La calza della befana, l’usanza della Festività dell Epifania, che più inghiottisce ognuno, per via dell’uso di mettere doni (caramelle, frutta secca, mandarini ecc.) all’interno di una calza appesa al focolare nella notte della Befana avrebbe valori propiziatori, tra tante spiegazioni di buon auspicio rinnovamento per l’anno nuovo, non solo delizioso.

Una prima delucidazione, dei doni fatti dalla Befana, ci si concentra anche nell’uso oggettivo degli indumenti, infatti si presume che queste abbiano acquisito tale valore per la doppia valenza di indumenti indispensabili contro il freddo e di contenitori perfetti a disposizione di chiunque. Una leggenda racconta che Numa Pompilio, uno dei sette Re di Roma, avesse l’abitudine di appendere durante il periodo del solstizio d’inverno una calza in una grotta per ricevere doni da una ninfa.

Un’altra risale intorno al XII secolo, ed è da sempre collegata ai Re Magi che non riuscendo a trovare la strada per Betlemme chiesero informazioni ad una vecchietta che sgarbatamente si rifiutò di ascoltarli. In seguito, la donna pentitasi di tale azione preparò un sacco pieno di dolci e si mise a cercarli, fermandosi ad ogni casa a donare dolciumi ai bambini nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Così questa vecchietta, dopo aver commesso questo “errore”, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio girerebbe per il mondo, facendo regali ai bambini, per farsi perdonare, non sapendo chi fosse quel piccolo è costretta a dover donare ad ogni bimbo sulla terra.

Invece nella civiltà contadina le calze della befana (una per ciascun bambino della famiglia), di solito erano appese sotto la cappa, perché la vecchia le trovasse subito.

Molti le agganciavano direttamente alla catena del paiolo, altri a dei chiodi fissi in qualche angolo del focolare. Ma non tutti i bambini usavano appendere le calze per la Befana. Alcuni invece che le calze, mettevano bene in vista delle belle scarpe o degli stivaletti. La Befana, si sa, ha sempre tanti buchi nelle scarpe, così avrebbe potuto prendersi quelle nuove e lasciare in cambio i suoi doni. Se invece non ne aveva bisogno, lasciava le scarpe al loro posto riempiendole di doni.

 

In certi paesi c’erano bambini che non mettevano né calze, né scarpe, né stivali per i doni della Befana. Preferivano invece cestini, canestri, panieri, piatti, ciotole di legno e cappelli rovesciati. Ma erano le calze ad essere preferite da tutti, perché essendo di lana si allargavano facilmente e quindi contenevano più doni. I bambini furbi, anziché le loro calze, che erano piccole, appendevano le lunghe calze nere della mamma e della nonna, che di doni potevano raccoglierne ancora di più.

Ma questi dolci li trasportava e donava in una calza, forse per questo c’è la tradizione delle calze?

Si presume che queste abbiano acquisito tale valore per la doppia valenza di indumenti indispensabili contro il freddo e di contenitori perfetti a disposizione di chiunque. Una leggenda dice che Numa Pompilio, uno dei sette Re di Roma, avesse l’abitudine di appendere durante il periodo del solstizio d’inverno una calza in una grotta per ricevere doni da una ninfa.

Perciò la Befana nel tempo si è configurata come una strega benevola, generosa dispensatrice di frutti della terra e soprattutto dolciumi per i bravi bambini.

Ma inizialmente suoi primi doni alimentari erano più terreni, come frutta secca, mele, arance, e sono offerte primiziali, che, richiamando i semi della terra, vengono ad esercitare una funzione propiziatoria.

Così molti Pasticceri sapendo come certi loro dolci freschi non troverebbero spazio nelle calze, hanno optato di fare loro delle calze, ma non riempiendole, ma semplicemente per seguire di pari passo

o

E verrebbe da chiedersi del perché tra tante bontà e buoni auspici, c’è un elemento in più che non ritorna come il carbone, cosa mi significa?

Questo è un antico simbolo rituale dei falò, ma inizialmente non era negativo, anzi, infatti veniva inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo del rinnovamento stagionale. Poi la cultura cattolica ha trasformato il gesto in simbolo di punizione per i bambini che si erano comportati male durante l’anno.

Tutte queste vicende storiche hanno permesso che questa notte delle festività natalizie sia la più attesa da ogni bambino, per avere la propria dolce dispensa di dolciumi commerciali da cui attingere sempre e quando vuole, “grazie al dono della tenace vecchietta”, ormai diventato un’attività troppo commerciale cercando dolcetti confezionati, di grandi marche, dimenticando il significato primordiale dell’amore nel donare dolcetti artigianali più salutari , dimostranti più affetto e calore, perché certe tradizioni non vanno mai abbandonate, in modo che si riesca a donare sorrisi, gioie e piacere ai bimbi con un semplice e dolce dono, in modo che da quel sorrisi possa nascere il vitale rinnovamento di ognuno di noi.

Eugenio Fiorentino

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