Ogni Storytelling del food per essere tale, deve far trascorrere del tempo, aspettando che trascorra, insegnando l’arte dell’aspettare. Dopo aver vissuto la grande emozione dell’attesa del popolo napoletano per lo scudetto, notiamo un’analogia con il ragù napoletano. Per essere una festa indimenticabile, bisogna attendere proprio come questo, che per essere buono e pronto deve pappuliare, o meglio “adda pappulià”. Cioè deve evaporare tutta l’acqua per diventare una crema densa e ristretta, come quella promossa da Carolina d’Asburgo Lorena moglie di Ferdinando IV. Per quanto riguarda il nome, il termine ragù deriva dal francese Ragout, che indica un tipo di cottura di carne e verdure, simile allo spezzatino, perciò sono importanti tutti gli ingredienti tipici.

Infatti, ricordando le dominazioni passate della Città di Napoli, il Ragù è un qualcosa di francese. Dato che fu proprio Carolina d’Asburgo Lorena, moglie di Ferdinando IV, a introdurre nelle cucine dei palazzi nobili la moda dei cuochi francesi. Questa aggiunta nel menù, ha arricchito la cucina napoletana con questo sostanzioso piatto a base di carne di manzo o vitello di prima qualità, ma ancora privo di pomodoro.

Risalendo al 1857 ne parla, forse per la prima volta, Carlo Dal Bono nella Sua operaUsi e costumi di Napoli”, descrivendo questo piatto per la distribuzione dei maccheroni da parte dei tavernai: “Talvolta poi dopo il formaggio si tingono di color purpureo o paonazzo, quando cioè il tavernaio del sugo di pomodoro o del ragù (specie di stufato) copre, quasi rugiada di fiori, la polvere del formaggio”.

In realtà il ragù napoletano ha una sua leggenda!

A Napoli, alla fine del Trecento, girava a piedi per la Città la Compagnia dei Bianchi invocante “giustizia, misericordia e pace”.

Lungo i vari giri, la compagnia giunse presso il “Palazzo dell’Imperatore” in via Tribunali.

Purtroppo all’epoca era abitato da un Signore nemico di tutti. La compagnia estese l’invito alla popolazione a riappacificarsi con i propri nemici. Peccato che il nobile, che risiedeva nel “Palazzo dell’Imperatore”, decise di non accettare l’invito dei Bianchi, nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Si racconta che addirittura non cedette neanche quando il figlio di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole gridò tre volte: “Misericordia e pace”.

Così il nobile, accecato dall’ira, serbava rancore e vendetta, fin quando un giorno la sua donna gli preparò un piatto di maccheroni

fonte immagine https://napoli.itineraridellacampania.it/ragu-napoletano/

, e la Provvidenza riempì il piatto di una salsa piena di sangue. Così commosso dal prodigio, il Signore si rappacificò con i suoi nemici e vestì il bianco saio della Compagnia. Sua moglie in seguito all’inaspettata decisione, preparò di nuovo i maccheroni, che anche quella volta, come per magia, divennero rossi. Il signore decise così di chiamarlo come sui figlio, “raù”.

Da questo Storytelling del food e questi gesti, il Ragù è diventato simbolo di una Popolazione che deve sempre aspettare per vivere un evento magnifico, che sia il gustare un ottimo piatto di pasta o un trionfo calcistico.

Eugenio Fiorentino

 

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