La Settimana Santa è anche chiamata la Settimana della Passione, ebbè in quell’anno, il 1984, per me fu proprio la
Settimana della Passione.
Era il primo anno di Università e il preappello era stato fissato per il 3 maggio. Il mio primo Esame: Diritto Pubblico.
La Pasqua giungeva tardissima, il 22 aprile, in una primavera straripante di colori e profumi, che preannunciava già l’estate. Io, in quel Venerdì di Passione, ero costretto, mio malgrado, a studiare l’Organizzazione dello Stato, delle Regioni e la Costituzione. In quel venerdì pomeriggio, la lotta era impari. Nella stanza si contrapponevano da una parte il balcone da cui faceva capolino un caldo sole che illuminava le rose già sbocciate e dall’altra il Tomo, e che tomo, di Istituzioni di Diritto Pubblico, le dispense del Corso di “Organizzazione dei Partiti Politici” e il Codice.
Come se tutto quello schieramento di libri, fotocopie e appunti solo a contatto con l’epidermide avesse potuto infondermi la Conoscenza.
Ma a rendere tutto, ancora più arduo, era l’incredibile odore di Pastiera. Sul balcone dello studio si affacciava anche la cucina, dove Mamma e Nonna erano all’opera per la realizzazione dell’Arma Letale contro le Diete: la Pastiera.
La Pastiera viene quasi snobbata il giorno di Pasqua. E ci credo, il Pranzo di Pasqua è la Madre delle battaglie della
tavola. S’inizia con l’Antipasto Benedetto, un’alternanza di ricotta salata, salame salsiccia piccante, uova sode e capicollo, addobbato con le foglie dell’ulivo benedetto della Domenica delle Palme. E solo per il rispetto religioso che le foglioline sempreverdi non sono mangiate dai commensali.
A seguire, Tagliolini in brodo, ma con un brodo leggero, che è fatto solo con una grossa e grassa gallina paesana di cui, si deve assaggiare almeno un pezzetto di carne. Il clou del pranzo è il Capretto Pasquale. Portandone alla bocca
il primo pezzetto, vengono in mente tutte le affermazioni degli animalisti.
Povere bestie! Sono degli animali così piccoli! Così teneri, così
buoni
Si! Sono proprio buoni e la morte loro è con i pisellini freschi e l’uovo sbattuto. Man mano che si continua a mangiare, i sensi di colpa svaniscono senza alcuna vergogna. Il pranzo continua con una delicatissima “Mammarella”.
La Mammarella è il più tenero dei carciofi, preparato lesso da mangiare foglia a foglia con un intingolo di olio, sale e pepe. L’unico difetto è che le “Mammarelle” per essere tali, devono avere la grandezza della capa e ‘na creatura.
Superati questi insormontabili ostacoli, il banchetto volge alla fine.
Ad un osservatore estraneo e non partenopeo, la scena può apparire paradossale, nella giornata della pace, dove tutti si sono scambiati auguri e baci, ecco che attorno alla tavola su cui sono in bella mostra due, tre Pastiere, si vengono a formare delle agguerrite fazioni. Non stiamo parlando di estranei, ma di consanguinei. “Ma perché, questa è Pastiera?” Esclama con fare sarcastico il fratello verso la sorella. “E dove sta la crema? Quella mi sembra una frittata!” Dice la Suocera con viso schifato alla Nuora. Tutti si lamentano della Pastiera altrui, ma tutti difendono la propria a spada tratta. Ogni famiglia ha la propria ricetta. Cambiano ingredienti, metodologie di realizzazione, tempi di cottura, persino le strisce di decoro possono essere elementi di confronto.
Anche in casa nostra il procedimento e gli ingredienti sono Top Secret. Quel Venerdì pomeriggio si stavano realizzando Pastiere con l’accuratezza di un laboratorio svizzero. L’elemento segreto era pronto, quella fialetta di vetro sarebbe stata utilizzata solo al momento giusto, proprio come in un film di Mission Impossible.
Capirete che non vi potrò mai rivelarne il segreto, metterei a rischio la vostra e la mia incolumità.
Mentre io studiavo, in cucina si preparavano ed infornavano pastiere.
Il forno andava avanti come la fornace di un’acciaieria. La nonna tagliava le strisce di decoro con una precisione
millimetrica e le poneva sull’impasto con una perizia artistica. Una volta sfornate, mia Madre le andava dislocando su mobili, mensole e tavoli per meglio farle riposare, spuntando la lista dei fortunati destinatari.
Quando fu l’ora di cena, la casa, i mobili, le cose, noi stessi eravamo impregnati dell’odore di Pastiera. Ci sedemmo a
tavola. La cena era il momento di ritrovo giornaliero per tutta la Famiglia: Papà, Mamma, Nonno, Nonna e noi figli. Al centro del tavolo c’era un vassoio con il pesce lesso ed insalata. La delusione fu enorme, ci furono rimostranze da parte di tutti, compreso Papà, ma furono smorzate dalle parole della Nonna. “Oggi è Venerdì Santo! Oggi è digiuno e astinenza! Astinenza dalle Carni!”.
“Ecco, allora preferisco il digiuno!”
Minacciò mia sorella serrando la bocca e incrociando le braccia. La mediazione e la dolcezza di mia madre acquetarono la rivolta. Al termine della cena, Papà con molta nonchalance propose. “Allora assaggiamo la Pastiera?
Come al verificarsi di un gol improvviso si sollevò un boato di esultanza, che però fu smorzato dallo sguardo di
disapprovazione della Nonna, donna dolcissima ma ligia alle regole, che aggiunse. “Sì, ora facciamo anche peccato”
Solo a questo punto intervenne il Nonno, che era stato in silenzio fino a quel momento.
“Carmelina, se viene il Terremoto e noi non abbiamo assaggiato la pastiera, questo è il vero peccato!
Il ricordo di quel 23 novembre era ancora molto vivo. Nessuno proferì parola, e mia Madre portò a tavola una splendida Pastiera. La Nonna non ne mangiò e Noi per compensare anche il pesce lesso demmo fondo all’intero dolce. Quella notte, forse per lo stress dello studio o quasi sicuramente per le abbondanti fette di pastiera ingurgitate, non riuscii a prendere sonno, così mi alzai dal letto e mi recai in cucina per bere. La mia sorpresa fu enorme quando trovai la Nonna che placidamente seduta al tavolo stava mangiando una bella fetta di pastiera.
“Nonnina! Ma come, mangi la Pastiera a quest’ora.
Senza alcuna meraviglia placidamente rispose.
“Eh certo! Ormai è passata Mezzanotte!” quindi ecco una fetta
Roberto Di Maio / Bobo Chef

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